“Vi presento Toni Erdmann” di Maren Ade
Pluripremiato all’European Film Award del 2016, questo secondo film della quarantacinquenne regista tedesca Maren Ade – già Orso d’Argento a Berlino nel 2009 con Alle Anderen (pellicola che non ha trovato distribuzione in Italia benché girata in Sardegna), ha tuttavia vari aspetti non convincenti.
Innaturale è il continuo e ostentato atteggiarsi scherzoso del protagonista, Winfried Conradi, insegnante di musica in pensione che, per apparire buffo e divertente, indossa camuffamenti vari, inclusa una strana dentiera con i denti sporgenti. Inoltre, per restare in incognito nell’entourage della figlia Ines, si presenta come Toni Erdmann, faccendiere, affarista e sciupafemmine.
Buffo e divertente non appare mai e tantomeno è credibile sotto le sue mentite spoglie. Semmai è patetico e tragico, quando scopre chi è davvero e che cosa fa Ines, la figlia scontrosa e rampante, ma al contempo delusa e insoddisfatta. Costei non è quella manager che faceva credere di essere, con un prestigioso posto in una azienda in Romania, ma un’impiegata alquanto mobbizzata che per rendere di più, patire di meno e allinearsi con la massa dei colleghi, non esita anche di far uso di cocaina e di chissà quali altri paradisi artificiali e succedanei.
Personaggio meglio delineato, Ines è bella, orgogliosa e antipatica come molti giovani di oggi, mai ammetterebbe di aver bisogno di sostegno e infatti allontana senza scrupoli il padre andato in Romania a trovarla, salvo poi commuoversi mentre lo vede allontanarsi.
Il padre, con i suoi travestimenti non certo esilaranti né tantomeno convincenti, riesce tuttavia a percorrere un tratto di vita accanto a quella figlia ormai adulta e forse trascurata da bambina, quando sarebbe stato più necessario e produttivo essere presente.
Ma nel film, prolisso e ripetitivo, manca la profondità, non si intravvede un significato a tanto sforzo, o forse il significato sta proprio nel dimostrare che ricordarsi troppo tardi di essere padre, non serve o fa danni. Le sue performance infatti non ottengono molto di più che qualche sorriso e un po’ di compiacenza: appaiono più come maldestri tentativi di autoaffermazione che atti di vero anticonformismo. Non si capisce nemmeno se aiutino davvero la giovane Ines ad acquistare più fiducia in se stessa e nel suo avvenire o se invece costituiscano solo una curiosa variante del suo incerto cammino professionale, che prosegue sempre all’estero, quasi metafora di una fuga, sempre più lontana da casa e famiglia.