Vincent (Karim Leklou) è un uomo ordinario, dalla vita ancora più ordinaria. A un certo punto tutto cambia: di punto in bianco perfetti sconosciuti, anche ragazzini, iniziato ad attentare alla sua vita in vari modi e con vari mezzi.
La sua placida routine è completamente sparita, tutto è fuori controllo. Si trova braccato da un mondo che vuole ucciderlo senza che nessuno gli spieghi il perché.

Presentato nella 62e Semaine de la Critique del 76° Festival di Cannes, il primo lungometraggio per il cinema di Stéphan Castang, scritto da Mathieu Naert, gioca sul voler essere un thriller psicologico.
A un certo punto Vincent si sente osservato da tutti, senza via di fuga. Questa è una metafora/ritratto della società, dell’ansia che si auto-produce in un mondo che pretende sempre di più. E per, suppergiù, una prima parte il ritmo tiene, anche perché sostenuto dall’ottima e suggestiva colonna sonora di John Kaced. La durata (quasi due ore) penalizza l’evolversi delle vicende di Vincent. Per quanto Leklou sia eccezionale nel dare credibilità al suo personaggio, si ha l’impressione che la storia corra troppo veloce rispetto alla percezione del pubblico che non riesce a star dietro a tutti i colpi di scena.