Insieme a un collega francese e a un amico ucraino emigrato con la famiglia in Francia dopo l’inizio dell’invasione russa su larga scala, il documentarista parigino Antonin Peretjatko parte in macchina alla volta di Leopoli, verso la terra d’origine di suo nonno, fuggito dal paese quasi cent’anni prima. In valigia, per fissare alcuni momenti sparsi del suo viaggio e degli incontri che lo scandiscono, due cineprese 16 mm…

Nel mare magnum di documentari sull’Ucraina post-24 febbraio 2022 realizzati negli ultimi due anni e mezzo, incentrati sul fronte o sulle retrovie, pensati per un formato cinematografico o televisivo, girati da ucraini o da stranieri, questo Voyage along the War – poco più che un mediometraggio, dato che dura solo 60 minuti – presentato in prima internazionale a Karlovy Vary 2024 ha innanzitutto il merito di distinguersi, più ancora che per la prospettiva adottata nel narrare il paese in guerra, per gli strumenti utilizzati allo scopo. Da un lato si tratta infatti di un dichiarato road movie in cui, approfittando della congiuntura storica, il regista-io narrante decide di riscoprire più in profondità le proprie radici tornando nella terra di suo nonno, emigrato in Francia all’altezza della Seconda guerra mondiale per lasciare un’Ucraina sovietica messa in ginocchio dal holodomor: come in ogni viaggio che si rispetti, a maggior ragione se ci sono delle implicazioni così intime, non può dunque mancare un ‘diario’, in questo caso messo non su carta, ma su fotogrammi regolarmente commentati dalla voce fuori campo del suo autore. Ciò che vediamo, però, è stato volutamente – e anacronisticamente, in un’epoca in cui, soprattutto nei reportage dalle zone di guerra, imperversano le videocamere degli smartphone – registrato su pellicola 16 mm, per cui Perejatko pare nutrire una sorta di feticcio, ritenendo che costituisca il veicolo più efficace per un impressionismo cinematografico paragonabile a quello pittorico.

E per l’appunto di ‘impressioni’ di viaggio si tratta, al netto delle ridotte possibilità che il medium prescelto concede all’improvvisazione e alla spontaneità (la pellicola deve infatti essere sostituita ogni 20 secondi, limitando la libertà nelle riprese e rendendo necessaria una loro pianificazione più rigida; in compenso, come ha osservato ironico il regista alla presentazione del film al Kino Drahomíra di Karlovy Vary, questo tipo di dispositivo non necessita di energia elettrica, il che gli ha permesso di lavorare anche durante i frequenti blackout ucraini dei tempi di guerra…). Con le loro tinte sbiadite e i loro contorni sgranati davvero d’altri tempi, queste pennellate filmiche en plein air sottolineano senz’altro il parallelo tra passato e presente sotteso sin dall’inizio del film – a parte il fatto che assistiamo a una guerra che ha molto in comune con quelle del XX secolo, per non parlare del ruolo cruciale dell’eredità sovietico alle sue radici, è un dato di fatto che, similmente al nonno del regista, moltissimi ucraini, come l’Andrei che accompagna Perejatko, hanno dovuto lasciare il proprio paese spargendosi per l’Europa. Inoltre, le cose e le persone di cui il regista cattura alcuni istanti di storia individuale fanno pensare a una serie di diapositive vecchio stile, o alle fotografie d’antan che, a mo’ di leitmotiv, inframmezzano spesso gli episodi del viaggio: fotografie dove i volti vengono tagliati ed asportati, evidente proiezione dei morti e degli esuli che difficilmente faranno ritorno a casa, come il nonno del regista, che aveva accarezzato l’idea di tornare in Ucraina nel 1947, ma per sua fortuna non lo fece (era infatti molto probabile che su di lui, in quanto ‘traditore della patria’, si sarebbe abbattuta la scure delle ultime repressioni staliniane).

Lo sguardo di chi, da questa prospettiva squisitamente ‘analogica’, raccoglie impressioni ed emozioni, è quello di un osservatore comunque esterno e ‘straniato’: nonostante le sue origini ucraine, Perejatko aveva infatti visitato il paese del nonno solo una volta prima del 2022, e ciò che vede lo sorprende non meno di quanto lo avesse sorpreso il paesaggio naturale e umano lungo la Transiberiana russa. Una sorta di ‘preludio’ del Voyage è infatti una breve serie di filmati, sempre su pellicola 16 mm, da un viaggio tra Mosca e Vladivostok compiuto dal regista nel 2010, cui era stato dedicato un suo documentario uscito allora: ne vengono recuperati alcuni stralci in cui saltano all’occhio dei paralleli con ciò che vedremo alcuni minuti dopo (la stazione moscovita della metro “Kievskaja” con i mosaici che inneggiano alla fratellanza russo-ucraina, in nome della quale il Cremlino ha scatenato la guerra su larga scala nel 2022; i ragazzi di Ulan-Ude, conterranei dei tristemente noti soldati buriati che hanno occupato Bucha; e così via). Per quanto riguarda l’Ucraina tra Leopoli e Kyiv percorsa da Perejatko nel corso di due viaggi tra il 2022 e l’inizio del 2023, non si tratta ancora del paese militarizzato e dilaniato dalle morti di innumerevoli soldati e civili che abbiamo visto in The Invasion di Sergej Loznica: nonostante la guerra sia onnipresente, anche in una città lontana dalle trincee come Leopoli (dove, comunque, risuonano gli allarmi aerei e cadono i missili russi), si percepisce ancora un forte senso di resistenza ulteriormente corroborato, oltre che dalle bandiere e dai banner patriottici appesi a ogni angolo, anche dal dissacrante umorismo dei non meno diffusi manifesti satirici sulla Russia imperialista (o da gadget come la finta carta d’identità di “Vladimir Putler”). La gente a Leopoli sorride e si diverte ancora (il che non manca di suscitare l’irritazione di un ragazzo sfollato da Mariupol’, quasi incapace di riabituarsi alla vita ordinaria dopo un mese di assoluto orrore bellico). Gli artisti fuggiti dalle regioni occupate che Perejatko intervista, nonostante il loro sgomento e i traumi vissuti, guardano avanti e continuano a creare – e non è un caso che il regista scelga di concentrarsi su suoi colleghi, figure del milieu culturale e portavoce di un’identità nazionale sotto scacco.

La guerra, però, prosegue (e i miliardari americani come il Warren Buffett menzionato del film, di cui il regista rimarca giustamente il cinismo al di là di tante belle e filantropiche parole, potranno senz’altro contare su numerosi nuovi appalti per la ricostruzione…), anche se, come osserva la voce narrante del regista in sottofondo agli ultimi fotogrammi, nei mezzi d’informazione occidentali occupa ormai meno spazio rispetto ad altri contesti di crisi. Lavori come Voyage along the War contribuiscono a non dimenticare o ignorare cosa sta succedendo alle porte dell’Europa: un obiettivo, questo, che sembra programmatico alla cinquantottesima edizione del festival di Karlovy Vary, nel cui programma figurano diversi recenti documentari sulla guerra russo-ucraina.