Sentivamo la necessità di un remake di un classico della storia del cinema (con ben 10 oscar in saccoccia, un record per un musical)?
West Side Story del 1968 per la regia di Robert Wise e Jerome Robbins è stata la versione cinematografica del musical (1957) con libretto di Arthur Laurents, parole di Stephen Sondheim e musiche di Leonard Bernstein, liberamente tratto dalla tragedia di William Shakespeare Romeo e Giulietta.
Non c’è Verona sullo sfondo, ma i bassifondi della New York del dopoguerra; un campo di battaglia dove per il dominio del territorio si sfidano: la banda dei bianchi Jets e i portoricani Sharks.
Teste calde che si azzannano con pugli e coltelli. Quando uno dei Jets, Tony (Ansel Elgort), si innamora, ricambiato, di Maria (Rachel Zegler) la sorella del leader degli Sharks, i rispettivi clan non accettano questa storia d’amore. I due innamorati sognano di fuggire insieme. Ma.


Il leader bianco Riff (applausi per il bravissimo Mike Faist, già vincitore di un Tony Award, prestigioso premio di Broadway) incita allo scontro decisivo, costi quel che costi, con i portoricani, soprattutto con il loro boss Bernardo (David Alvarez).
Tutto è pronto, così, perché vada in scena una tragedia interculturale di amore e morte.


Erano più di 10 anni che Steven Spielberg aveva nel cassetto il sogno del remake di West Side Story. È il suo primo musical e sembra non abbia fatto altro finora.
Per rispondere alla domanda iniziale (c’era proprio bisogno di questo remake?): con l’adattamento della sceneggiatura di Tony Kushner e la fotografia in Technicolor vintage (da oscar) di Janusz Kaminski, il Maestro Steven Spielberg ricorda come si fa il Cinema vecchio stile, con l’innovazione che sa rispettare lo spirito originale.


West Side Story versione 2021 è un audace, non perfetto e non vuole esserlo, ma raffinato e solenne omaggio a un classico che ha voluto, e saputo, raccontare attraverso canzoni immortali, realismo e fantasia (scazzottate in strada e coreografie di balletti), i seri problemi di delinquenza giovanile, il clima di odio e di intolleranza etnica.

Le coreografie sono di Justin Peck, i costumi di Paul Tazewell, le scenografie di Adam Stockhausen.
Grazie a loro Steven Spielberg è riuscito a conservare il carico tagliente, il fascino originale del musical e a trasmettere, con una tecnologia moderna, un’estetica nuova.

Le strade di New York si trasformano in un palcoscenico dove esplodono, con emozioni vocali e di fluidità scenica, artisti che (ce lo perdonino) visti solo in fotografia ci hanno lasciati perplessi nel nostro paragonarli al carisma di Natalie Wood (Maria), George Chakiris (Bernardo), Richard Beymer (Tony).
Il West Side Story di Spielberg non prende il posto del suo abbagliante predecessore, anzi, gli conferisce più energia e fa venire voglia di (ri)vederlo.