“EXPERTI” DI TAM TEATROMUSICA

Sorvegliati speciali. Teatro in carcere al due Palazzi di Padova

In carcere, da spettatore di uno spettacolo teatrale, ci entri nudo. E che ti senti nudo te lo confermano gli sguardi dei detenuti dietro le sbarre dei corridoi che portano all’auditorium, prima ancora di incontrare gli attori. Ti guardano come il re nudo, appunto. E hanno ragione, perché sei sbugiardato subito: qui non è possibile finzione, qui non c’è convenzione sociale che tenga, qui sei tu a confronto con te stesso, con la tua libertà che vivi come scontata, e con la vita di loro che ti guardano, così diversa.

Entriamo all’istituto di detenzione Due Palazzi di Padova, lo scorso 22 febbraio, per assistere a Experti, il nuovo lavoro di teatro in carcere che Tam Teatromusica ha realizzato con Belhassen, Giovanni, Abderrahim, Aioub, Abdallah, Ahmed, Luca, Temple, Mario, Pietro, Bruno e Mohamed. Tutti detenuti attori. Tra loro, ci spiegano Cinzia Zanellato e Loris Contarini responsabili del progetto e ideatori e registi dello spettacolo, avrebbe dovuto esserci anche K. E le sue parole – “Io questa rabbia non l’ho desiderata, spero che non resista nella mia testa, finché vita resta” – tagliano la scena come lame, a pochi mesi dal suo suicidio.

Tutto è amplificato, qui. Le sensazioni, le parole, i significati. E contemporaneamente tutto è scarnificato, ridotto all’essenza. Experti, che nasce dal laboratorio in carcere edizione 2012-2013, muove da un testo di Kafka: la storia di una scimmia, catturata e messa in gabbia, il cui obiettivo è “non la libertà, ma una via d’uscita”: una soluzione, uno spiraglio, una speranza. Perché “l’attesa è sofferenza, ma è l’unico prezzo per mantenere viva la speranza”, come scrive e rappa con lucidità disarmante Ahmed.

E questa speranza la trova nel varietà: scimmie che ballano, che diventano altro da sé, che diventano uomini. Fuggire non è possibile: drammaticamente, perché non è solo la condizione di privazione di liberà a impedire il movimento; è anche quell’assopimento dell’anima sempre in agguato, quando si ha a che fare con l’attesa, appunto. Ma, come spiegano i protagonisti, “si impara bene quando si è obbligati; si impara bene quando si cerca una via d’uscita; ci si sorveglia da soli con la frusta”.

Ed è forse questo sorvegliarsi, nel senso più amorevole del termine di “vegliare su se stessi”, di ritrovare un amore per la propria persona pur nel dolore che ci si è causati da sé, che questo Experti ci racconta. Ci racconta di vite che risuonano e rimbombano nei confini ristretti di uno spazio ma non di un’anima. Ce lo dicono la voce profondissima e malinconica di Maghreb di Belhassen. Ce lo dice lo sguardo aperto di Luca. Ce lo dice l’aplomb di Mario, che in vestito elegante e occhiali a mezzaluna sembra un professore. Ce lo dice il corpo di Aioub mentre balla. Ce lo dicono tutti, con la loro voglia, forte, si vede, di mettersi in gioco, di provare, di sentire.

Che poi siano bravi e commoventi non è secondario. Perché il Tam questo lavoro in carcere lo conduce da oltre vent’anni – è tra i fondatori del Coordinamento Nazionale Teatro Carcere -, e lo sa fare. Sa essere maieutico con l’umanità particolare che si trova di fronte: sa conquistarsi la fiducia e ottenere i risultati. E il risultato, questo Experti – realizzato con la collaborazione atistica di Benedicta Bertau e Emanuela Donataccio -, avrebbe piena dignità di uscire dal carcere e di farsi vedere altrove: su altri palcoscenici, a stupire, a creare un ponte di comunicazione con l’esterno. È questa una delle battaglie più importanti in atto al momento: dopo quella, ancora più difficile forse, di riuscire a mantenere una continuità nel lavoro in carcere, a fronte di continui tagli e rinnovi a singhiozzo. Il quartiere Sud Est di Padova ha già messo a disposizione due luoghi: il Porto Astra e il Bastione Alicorno. Tutto per il momento è sospeso, in attesa di approvazione.

Nel frattempo rimane la certezza di un lavoro buono e utile, per usare due termini fin troppo schietti per essere contemporanei. E perché sia buono, e utile, ce lo spiega Belhassen: “Io pensavo che fare l’attore volesse dire imparare le frasi a memoria e far ridere. Invece si fa più fatica che fare il muratore”.

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fotografie di Tommaso Saccarola – www.tommasosaccarola.com