Giunge alla seconda di quattro giornate la settima edizione del Ca’ Foscari Short Film Festival, regalandoci questa volta, dopo la serata di apertura, ben tredici corti nella sezione del Concorso Internazionale, in un turno pomeridiano e uno serale. Qui di seguito vi offriamo una breve analisi dei primi di questi, che ha visto, oltre al consueto veloce incontro con i registi, la proiezione del primo blocco, che constava di sei opere.

Operatsiya “Zhe” di Dariya Baranova

Liberamente ispirato a un racconto di Čechov, quello che la regista ci propone è un corto essenzialmente comico che illustra il goffo tentativo di una madre e sua figlia di sedurre e incastrare un giovane rampollo, sventato dal marito e padre con finta sbadataggine. Ancora un corto russo ad aprire la giornata, dunque, però questa volta sicuramente più complesso di Gamlet. Komediya. L’ironia abbonda, anzi, ogni cosa abbonda, dalla vivacità dei colori al tono grottesco, sino al carattere farsesco della scena finale dell’opera. Un padre che ha protetto un uomo più giovane per “non intrappolarlo nella gabbia del matrimonio e farlo volare come un uccello”. Quindi lo stile si adatta al carattere del corto: fotografia e musica sono presentissime e ci ricordano che siamo dinanzi a della finzione, ma non per questo non ne possiamo ridere. Tuttavia, pur essendo piacevole, certo non lascia il segno.

Amygdala di George Graham

Ci spostiamo in Inghilterra con Amygdala, un’altra opera piuttosto breve (nemmeno 10 minuti) che, come esplica il titolo, si focalizza sull’intersecarsi di emotività e paura: Bella evoca in un flashback i momenti salienti di una sua vecchia relazione con un’altra donna, che lasciò presumibilmente per motivi di lavoro senza dare troppo peso alla cosa. Il punto forte del corto sta nell’elegante gestione dello spazio. Per ogni momento dell’analessi, Graham è capace di girare attorno ai personaggi per cogliere quello sguardo che è più carico di contenuti, più comunicativo. Da segnalare quindi anche l’ottima direzione degli attori e la valorizzazione della parte interpretativa, spesso sottovalutata nelle opere di questo calibro per ovvi motivi. Per quanto concerne il resto, la brevità del corto non lascia spazio ad altre osservazioni, risultando dunque in un’esperienza piacevole (anche visivamente: Graham gioca con il ralenti e gli zoom in modo veramente professionale) ma non troppo carica, specie se si guarda all’emotività che dovrebbe permeare Amygdala.

Visitor di Stef de Hoog

Ungheria, 1944. Un ufficiale nazista tenta di forzare un vecchio conoscente (probabilmente un suo vecchio professore) a rivelargli dove ha nascosto un gitano scampato, a differenza del resto della sua famiglia, alla deportazione. Ora, specialmente alla luce di ciò che era Nocebo di Faraz Alam, altro corto – presentato nella giornata di apertura del Ca’ Foscari SFF – con cui Visitor condivide l’atmosfera e l’ambientazione, l’opera di de Hoog finisce inevitabilemente per peccare di banalità. Non solo la retorica che permea il corto sa di già visto, ma anche nella forma si riscontra questa stessa tendenza. Chiariamoci, Visitor è un’opera confezionata più che bene, ma allo stesso tempo ha il sapore di un qualcosa di estremamente pre-codificato, senza la voglia di rompere gli schemi che si può registrare nella stragrande maggioranza delle opere indipendenti. Nel complesso lascia il tempo che trova (anche come corto), ma della sestina è sicuramente quello che ha meno impressionato, nonostante si possa notare un certo mestiere in de Hoog che non appartiene agli altri.

Sledtswo: the inquest di Ena Kielska

Ritorniamo dunque nell’Europa dell’Est per quella che è sicuramente l’opera più contorta di questo primo blocco, e (proprio per questo) forse anche la più interessante. In un più che marcato bianco/nero che ci offre una visione di una piccola città della Polonia, il sindaco della suddetta tenta di far luce assieme a un investigatore privato (parodia del character tipicamente noir) e a uno stravagante dottore, sul mistero delle continue sparizioni in città. In un continuo capovolgersi di (per lo più buffe e grottesche) accuse, tra continui sprazzi parodistici e flash di geniale invettiva, in poco meno di venti minuti di questo corto dal vivo, ma montato in stop-motion – che trova un consorte perfetto nel montaggio audio volontariamente sfasato e disturbante – Kielska riesce a parlare con sorprendente originalità di una Polonia in difficoltà che non fa altro che vedere sempre più abitanti andarsene per cercare altre possibilità. Certo, il controfinale con foto e nomi di una serie di persone partite negli ultimi dieci anni non è certo raffinato e smorza leggermente il tutto, ma nonostante questa piccola caduta di stile in Sledtswo: the inquest si può ammirare una grande passione, oltre che voglia di originalità.

Na neun bo akda di Hae-Seong Jeong

Primo corto asiatico dello SFF: un’opera coreana con un spirito pienamente narrativo e pochi fronzoli. Un uomo è vittima di una truffa di una donna che per attuarla sfrutta la piccola figlia che, gridando alla molestia, obbliga gli sfortunati a pagare la madre per evitare guai. L’uomo segue le due per recuperare i suoi soldi ma viene anticipato da un secondo uomo che massacra la coppia. Na neun bo akda è quindi semplice e lineare, ma gestito benissimo nella sua semplicità. La camera a mano che va a comporre appena una mezza dozzina di piani-sequenza che costituiscono l’intero corto è capace di caricare d’ansia ogni sorta di azione, fino a rendere perfettamente una sovrapposizione spettatore/protagonista. Costui indugia su ogni cosa, dal pedinamento, a cosa fare dopo (denunciare la truffa, vendicarsi, ricattare) e lo spettatore lo segue, costretto e chiedersi cosa farebbe, fino alla scelta finale: chiamare o meno aiuto? In sostanza Na neun bo akda si esaurisce qui: è una breve esperienza che richiede di essere vissuta personalmente e che ha il grand pregio di saper turbare con un registro semplice e quotidiano.

Né leggere né scrivere di Edoardo Ferraro

Ritorniamo nuovamente in patria con il secondo corto girato da un italiano. Ferrato presenta al Ca’ Foscari SFF il suo lavoro di diploma cinematografico: un’amarcord B/N di quella che fu la “televisione didattica” attraverso il racconto di quelle frizioni sulle differenze della realtà italiana che furono protagoniste di Bellissima di Visconti. Da un lato la piccola-borghesia emergente di un urbanesimo ritardatario, dall’altro la situazione di ignoranza sistematica dei piccoli paesini. Attraverso gli occhi in un abitante di Elcito che lavora per la RAI come assistente per uno sprezzante e arrogante superiore, assistiamo a un’interessante riflessione su ciò che era l’Italia una volta e come la televisione la rappresentava. Senza muoverci vero facili paragoni con la modernità, Né leggere né scrivere trasmette nel piccolo mondo non solo una certa nostalgia per la didattica televisiva dei tempi andati, ma anche una passione tutta personale per la sua realtà, quel piccolo paesino di Elcito dove Ferraro è cresciuto.

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