Dopo una seconda giornata molto intesa che ha visto la proiezione di ben 13 cortometraggi divisi in un primo blocco pomeridiano e in un secondo blocco serale), la settima edizione del Ca’ Foscari Short Film Festival rallenta il ritmo presentando questa volta solo 5 corti che verranno brevemente analizzati qui di seguito, come per le due giornata precedenti.

Mooi missi di Diego Nurse

Primo corto a carattere documentaristico del Festival, Mooi missi è un breve resoconto della vita Beyong, una transgender d’origine latina, che si racconta allo spettatore focalizzandosi sui momenti principali della sua presa di coscienza: dai turbamenti dell’adolescenza agli scontri con il padre, dalla confessione alla madre all’accettazione e alla nuova vita in Olanda. Quello che rende interessante la visione è la capacità del regista, con grande modestia, di non andare mai oltre il semplice raccontare la storia che aveva intenzione di condividere. Certo, la arricchisce lavorando sull’atmosfera, usando in parte l’animazione in stop-motion per dare un contribuire al tono onirico che si vienea creare quando Beyong richiama i propri ricordi, e usa anche molto bene il montaggio, creando quel dinamismo che un racconto in prima persona non può avere per veicolare meglio le parole di Beyong. In sostanza quindi un corto robusto e solido, meno pretenzioso di quanto non si potebbe  aspettare.

Sicela Amanzi di Mlu Gudola

Si passa dal Belgio al Sudafrica con Sicela Amanzi, opera del giovanissmo Godola che va a rappresentare con la tipica formula del corto di denuncia il cambio di mentalità che si registra nelle persone che si trovano costrette a vivere in una situazione difficile come quella della siccità. Il comune vivere pacifico viene meno per lasciare spazio alla legge del più forte, a una sorta di homo homini lupus “aquae causa che vede la preoccupazione per la propria vita surclassare qualsiasi altro sentimento. Ora, il corto è ben fatto, duro nella sua rappresentazione della violenza, ma manca di vera voglia di fare cinema, a modesta opinione di chi scrive. Si tratta di cinema di denuncia dopotutto, ma a differenza di Sledtzwo: the inquest (corto della seconda giornata), per esempio, non ha personalità, non trasmette vera passione: in breve, tiene sempre presente troppo come mezzo e per nulla come fine.

Claire di Pierre-Alexandre Muller e Tara Nassef-Stephan

Ritorniamo dunque a parlare a francese con questo corto onirico che vede Claire, da poco sposatasiper la seconda volta, rievocare i traumi del proprio passato. Apprendendo della gravidanza, Claire sprofonda in un incubo a occhi aperti quando riaffiorano alla sua mente i ricordi della figlia morta qualche anno prima in un incidente automobilistico. Al di là del soggetto, quanto fa brillare l’opera della coppia di registi è l’estrema cura per l’aspetto visivo: ciò non si ferma al realismo degli aspetti più sanguinolenti e conturbanti, ma arriva sino alla pregevole rappresentazione di piccoli dettagli reconditi in ogni inquadratura che fanno trasparire la paura per la nuova gravidanza e quell’irrazionale ma fisiologico senso di colpa per la morte della figlia. Il gore è quanto più raffinato può essere, e il surrealismo che permea la pellicola ricorda un po’ i primi corti lynchani (Alphabet, The grandmother, e per certi versi anche Eraserhead), prendendo con tutta probabilità il regista americano ad esempio, senza però per questo fermarsi allo sterile omaggio.

SELFIEsh di Ekaterina Volkova

Con SELFIEsh abbiamo un corto di produzione russa girato a Roma, che vede la messa in scena di un momento importante per il rapporto madre/figlio quando la prima costringerà il secondo ad aiutarla a reperire della marijuana per calmare dei dolori al petto. Il corto in sostanza è una commedia; mira soprattutto a far ridere del e con il rapporto più o meno ambivalente che mette in scena. Di fatto non è nulla di nuovo, trovando la sua principale caratteristica nel ribadire ancora una volta quella retorica semplicistica fatta di ostentazione di sincerità e di ritorno al passato, al naturale o al semplice in generale. Strizza un po’ l’occhio a quel trend sviluppatosi in Italia negli ultimi anni dello svelamento delle ipocrisie dei rapporti amicali attraverso lo svilupparsi del film in un unico interno Con la prima scena ma anzichè svelare quello che fa SELFIEsh è coprire sempre di più, risultando finto come quei personaggi della prima inquadratura che avrebbero dovuto essere paradossali ma che invece si sono rivelati programmatici.

Sightseeing di David Borbàs

Un’altra storia di difficile emigrazione dopo Sledtzwo: the inquest. Qui uno scapestrato bulgaro che deve ridare dei soldi a uno strozzino si trova a dover improvvisarsi autista per aiutare una kosovara a emigrare legamente in Austria. Forse il più sobrio e raffinato dei corti delle prime tre giornate, Sightseeing mette in scena uno scalcinato road movie per due perdenti, due personaggi ai margini che tentano anche di fare qualcosa di buono ma che vedono continuamente le loro aspettative frustrate dallo stato delle cose. Due borderliners a cui è faciel affezionarsi, dunque, diventano gli occhi dello spettatore per gettare uno sguardo sui punti deboli dell’Europa moderna, sulle difficoltà che incontrano certe persone a prescindere da ciò che possono o hanno deciso di fare. Lo stile di Borbàs è semplice e piano; accompagna i lunghi percorsi della coppia con lente carrellate studiate ma non appariscenti, riuscendo sia a creare suggestione che a gestire bene i tempi, cosa difficile considerando che l’opera dura mezz’ora scarsa e che l’andamento generale è lento, e rallentatro ancora di più  – volontariamente – dalle difficoltà linguistiche dei due e dalle varie peripezie. Un corto che trabocca mestiere ed esperienza, uno dei più solidi sinora.

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